La història de
Trieste em va començar a entrar per la recomananció del llibre
Verde acqua de
Marisa Madieri on explica, en una mena de blog avançat, els seus anys de refugiada en aquesta ciutat (
més sobre Verde acqua). Me’l va recomanar LU i me’l va acabar deixant MM, que li havia regalat MV. Gràcies a totes i a les investigacions de MV i HFM he fet aquest recull.
Madieri era nascuda a
Fiume, aleshores
Itàlia; el 1947 va passar a ser
Iugoslàvia i a dir-se
Rijeka; i ara pertany a
Croàcia. Aquest fet va generar onades de
refugiats; les primeres, com Madieri, perquè volien seguir essent italians. Els segons, perquè no els van deixar ser iugoslaus.
“1956 era l’ anno in cui molti istriani che erano rimasti in Jugoslavia ai tempi del primo esodo ed avevano partecipato convinti alla costruzione del socialismo in Jugoslavia furono cacciati dalle loro terre in quanto semplicemente “italiani”. Considerati “traditori” dagli altri esuli in quanto erano rimasti nella Jugoslavia di Tito, mal visti anche dalle forze di sinistra locali, perché comunque erano stati espulsi da un paese che faceva comunque parte del blocco comunista.”
Els refugiats van viure al Silos, Madieri descriu l’edifici així:
“Feci cosí la mia prima conoscenza del Silos, dove vivevano accampati migliaia di profughi istriani, dalmati o fiumani come noi. Era un edificio immenso di tre piani, costruito sotto l’ impero absburgico come deposito di granaglie, con un ampia facciata ornata da un rosone e due lunghe ali che racchiudevano una specie di cortile interno, dove i bambini andavano a giocare a frotte e le donne stendevano i panni. L’esterno di questo edificio è ancor oggi visibile vicino alla stazione ferroviaria.
Il pianterreno, il primo e il secondo piano erano quasi completamente immersi nel buio. Il terzo era invece rischiarato da grandi lucernai posti sul tetto, che però non potevano essere aperti.
In ogni singolo piano lo spazio era suddiviso da pareti di legno in tanti piccoli scomparti detti “box”, che si susseguivano senza intervalli come celle di un alveare. Si aprivano tra di essi strade maestre e stradine secondarie di collegamento.
I box erano tutti numerati e qualcuno aveva anche un nome, proprio come una villa. Anche le strade avevano nomi di riconoscimento: la strada della dalmata, quella dei polesani, la via della cappella o quella dei lavandini. Naturalmente i box più ambiti erano quelli vicino a una delle rare finestre che si aprivano sull’ esterno o quelli del terzo piano, che almeno ricevevano dal tetto la luce del giorno.
Entrare al Silos era come entrare in un paesaggio vagamente dantesco, in un notturno e fumoso purgatorio. Dai box si levavano vapori di cottura e odori disparati, che si univano a formarne uno intenso, tipico,indescrivibile, un misto dolciastro e stantio di minestre, di cavolo, di fritto, di sudore e di ospedale.
Di giorno, dall’ intensa luce esterna non era facile abituarsi subito alla debole luce artificiale dell’ interno. Solo dopo un poco si riuscivano a distinguere i contorni dei singoli box e ci si rendeva conto della disposizione complessa e articolata del tenebroso villaggio stratificato e dell’ andirivieni incessante di persone che si muovevano nelle sue strade e nei suoi crocevia.
Anche i rumori erano molteplici e formavano un brusio uniforme, dal quale si levavano ogni tanto le note acute di qualche radio, una voce irata, colpi di tosse o il pianto di un bambino. Trovai la mamma intristita e trascurata e mia sorella cresciuta e un pò inselvatichita. Lucina si era abituata alla vita del Silos e aveva fatto tante amicizie con cui giocava felice tutto il giorno, nella spensierata adattabilità dell’infanzia.
Il nostro box era tra quelli fortunati del terzo piano, proprio sotto un lucernaio. Era formato da due piccoli ambienti, di cui uno serviva da cucina, quasi tutto occupato dal tavolo e dalle sedie, e l’altro da stanza da letto comune. Nella cucina era stato ricavato uno sgabuzzino che fungeva da deposito di scope, rifiuti, bottiglie vuote, scarpe, giornali e riviste vecchie. C’erano anche parecchi secchi e catini che, nelle giornate di pioggia, venivano disposti in vari punti del box per raccogliere l’ acqua che filtrava in piccoli rivoli dal tetto.”

Ara, el silos no existeix; es va cremar en un incendi i el van haver de derruir del tot. En el solar hi ha un pàrquing, el pàrquing Silos. Però a la oficina de turisme no en sabe donar raó.
Més informació:
Trieste La bora La Grotta Gigante Massimiliano e Carlotta
Recomano mirar dues entrades a La lectora corrent l'entrada
L'èxode istrià de la postguerra: lectoracorrent.blogspot.com/2009_03_01_archive.html
I també: La Trieste de Magris, molt recomanable: lectoracorrent.blogspot.com/2011/04/la-trieste-de-magris-molt-recomanable.html
Anem ampliant referències.